
L’origine del culto di questo santo ha nel corso dei secoli alimentato tante leggende, anche per via del ritrovamento della grotta (di cui ancora sono visibili i resti) dove vuole la tradizione avrebbe vissuto l’eremita.
Ma chi era questo eremita? Quali erano le sue origini? Il mistero nascosto per più di mille anni è stato finalmente svelato.
La storia ci racconta che nell’alto medioevo molti monaci bizantini, per l’esigenza di diffondere nel mediterraneo i riti greco-ortodossi, e anche per sfuggire alle persecuzioni, si insediarono in molte zone dell’occidente. E quindi, anche in Sicilia.
Alcuni arrivarono alle isole Eolie, come S. Calogero a Lipari o Sant’Onofrio che si insediò nella piccola borgata di Pollara, probabilmente prima che la stessa venisse abitata, vivendo in una grotta e meritandosi la santità con la severità dei digiuni e la rettitudine della propria vita.
Pollara, infatti, secondo la tradizione risulta fondata intorno al XII° secolo, quando un gruppo di agricoltori calabresi colonizzo questa porzione dell’isola esposta ad ovest, portandosi dietro il culto di S. Onofrio.
Se questa ricostruzione fosse esatta, il santo patrono della piccola comunità eoliana non sarebbe, come si è sempre pensato, un monaco orientale ma un eremita calabrese della zona del vibonese, poichè il S. Onofrio venerato in Calabria è un monaco di quella regione.
Tutto ciò fa supporre che il ricordo del monaco orientale e il culto per il santo calabrese si siano sovrapposti dando origine all’attuale leggenda di S. Onofrio.
La confusione sarebbe dunque nata da un errore degli agiografi che avrebbero sovrapposto le due figure.
Il S. Onofrio raffigurato su statue e dipinti votivi è quasi sempre rappresentato nudo, coperto da un perizoma di foglie e dai suoi stessi peli o in qualche caso da pelli di animali .
Questa raffigurazione (nella foto) è rappresentata nella tela dipinta dal pittore seicentesco Giuseppe Salerno detto “lo zoppo di Gangi” ed è anche questa l’immagine simbolo del santo a cui è stato dato l’affettuoso nomignolo di “u pilusu”.
Sull'argomento sarebbe interessante sentire il parere di un grande esperto il Prof. Antonio Albanese. Si spera che sia un lettore del "cantaro".
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